mercoledì 16 febbraio 2011

Con il passo dei "balordi"

E' difficile seguire i ragazzi di Bucarest. E' difficile passare del tempo con loro, quando sono in strada (cioè sempre). E' difficile perchè hanno un'altra concezione del tempo.
Io sto cercando di fare un'osservazione partecipante sui ragazzi di strada. Vado a cercarli in strada e, se li trovo, mi fermo con loro per qualche ora, scrivendo, quando torno a casa, ciò che vedo e sento. E questo non è solo per la mia tesi, ma perchè potrò, in questo modo, portarmi Bucarest in Italia in un modo che è estremamente accurato, per non perdere nessun tipo di particolare.
Ma i ragazzi di strada non hanno la nostra concezione del tempo. E' difficilissimo seguirli, e non solo perchè si fanno chilometri e chilometri ogni giorno, ma anche perchè hanno orari diversi. Talvolta non ne hanno neppure.
Semplicemente si potrebbe dire che il loro "tempo" si regge sulla soddisfazione dei bisogni elementari: mangiare (principalmente) e la lotta contro il freddo. Il dormire non è un bisogno elementare perchè si può anche dormire di giorno no? I ragazzi che passano la maggiorparte della loro giornata in strada hanno perciò un piccolo cosmo proprio. Per i ragazzi che dormono nei canali, c'è invece una regolarità dovuta al fatto che quando in strada arriva il gelo notturno, sono costretti a tornare al caldo del tombino.
Quando vado a cercare i ragazzi devo aspettarmi sempre di tutto: posso trovarli inaspettatamente, oppure posso sprecare la mia giornata a cercarli senza concludere nulla. E' difficile, stancante, ma non demotivante. La fatica, che sento quando alle 9 di sera sto per crollare sul letto, mi ha fatto pensare a quest'altro programma di vita, che si scontra violentemente contro il nostro. E crea disagi.
Io non posso progettare la mia giornata, proprio perchè i ragazzi di strada non hanno progettualità. Vivono su ciò che è per loro quotidiano: i loro bisogni, le loro esigenze (ovviamente non solo dormire e mangiare). Mancanza di progettualità. Nei gruppi di ragazzi di strada c'è una forte mancanza di progettualità, che non significa non sapersi organizzare. Non significa mancanza di praticità. Significa rigettare ciò che è programmato, ciò che è stabilito dall'esterno.
L'appuntamento.
Sabato scorso uno dei ragazzi doveva incontrarsi con me alla fermata della metro per andare insieme al canale. Alle 15 a Tineretului. Dopo un'ora di attesa me ne sono andato. L'ho rivisto ieri, e mi ha risposto dicendomi che era lui che mi aveva aspettato per un'ora alla fermata della metro. In realtà credo che, conoscendo la sua storia, fosse rimasto preda di una delle ragazze del gruppo.
Il cambio di "programma".
Mi capita quotidianamente sentire cambi di idee, proposte rimangiate, programmi alternativi. E questo per due motivi. O perchè cercano di depistarmi o perchè effettivamente non hanno un programma. I ragazzini più piccoli hanno bisogno dei più grandi. Quando sto solo con loro, molto spesso cercano di mandarmi via con molti giri di parole e cambi di programma. Credo perchè si sentano insicuri, se soli con uno straniero e senza il resto del gruppo. Non perchè hanno paura di me. Questo è impossibile. Ma perchè hanno paura di ciò che il gurppo può pensare nel momento in cui loro sono i responsabili della mia entrata nel gruppo. Questa paura è estremamente comune ai bambini di strada.
La scuola e le istituzioni.
La scuola, e tutte le istituzioni con cui hanno contatti non potranno per loro rappresentare un aiuto per il futuro. E' molto difficile che si costruiscano un percorso. Scegliere la scuola, che dovrebbe durare un tot di anni, andare all'ospedale su appuntamento, incontrarsi con gli operatori sociali, sono azioni che implicano regolarità che loro non hanno. Per questo anche i loro propositi o sogni del futuro sono molto spesso soltanto sogni irrealizzabili. E loro stessi lo sanno. Lo sanno benissimo che quando dicono "voglio tornare dalla mamma", oppure "voglio andare in Italia a lavorare", oppure "credo che torverò un lavoro a breve", che saranno molto probabilemente parole senza seguito. C'è forte mancanza di progettualità quando si parla del loro futuro. Alina, dello staff di Parada, mi ha detto che è molto difficile costruire un percorso di assistenza sociale con loro. Gli interventi dell'associazioni sono spesso vanificati dalla scelta di rimanere in strada, e mandare all'aria ogni progetto per loro iniziato. La progettualità della loro vita non esiste. Non esiste in termini temporali, proprio perchè hanno un tempo parallelo, una realtà parallela, che molto spesso genera incompatibilità e contrasto con chi rappresenta un'istituzione. In primis il Centro diurno di Parada. Quante le storie di chi non può più entrare al Centro perchè ha deciso di usarlo solamente come uno strumento per mangiare e svagarsi, senza scegliere i progetti proposti. Tuttavia il Centro è importante. Scandisce il tempo ed una certa regolarità durante il giorno. Scandisce il tempo del pasto, degli allenamenti, della chiusura alle 5 del pomeriggio.
E' un piccolo orologio che tante volte si scontra con l'orologio della strada. Inesistente. Impossibile da descrivere.

E io, in mezzo a cercare di capire, torno a casa ogni sera distrutto.


2 commenti:

  1. Leggendo questo post, mi sono sorti due pensieri, o per essere più preciso, un'emozione ed una riflessione. L'emozione, mi fa quasi strano a dirlo, è stata l'ammirazione. Credo che sia ammirevole poter vivere senza il tempo, senza "l'appuntamento", senza una definizione di futuro. O per lo meno, credo sia affascinante. Leggendo il post ho ripensato alle sensazioni provate incontrandoli, questi bambini di strada. Ed ho provato invidia di te Lollo! Come quella volta rimasi al contempo spaventato e sedotto, ora dal comodo letto a 2 piazze di casa mia, anche leggendo della durezza della loro vita, sento solo la seduzione per questa loro modo di vivere. E so che ora ti starai arrabbiando davanti allo schermo, ma mio caro Lollo, la riflessione che mi è emotivamente nata sopra è: ma è davvero giusto cercare di dissuaderli da questo modo di vita? è davvero giusto cercare di incamerarli su di una strada a lungo termine? Quella che ti pongo, rivisitandola, è in fondo la solita vecchia questione dei 100 giorni da pecora o 1 da leone. Perchè sono sempre più convinto che questo loro modo di vivere sia sicuramente animalesco per molti aspetti, ma forse anche molto più genuino, naturale. Come hai detto tu non progettuale, ma quindi anche non strutturato, o meglio non inscritto in una struttura, e quindi veramente libero. Ma libero non nel senso occidentale, politico del termine, quanto in un senso cinico, alla Diogene del termine. Forse sto sovraccaricando di valore quella che è in realtà una vita di miseria, ma ho voluto manifestarti le mie sensazioni, per una volta... del resto anche Diogene fu chiamato "un cane di Paria", ma nonostante ciò ne ho sempre sentito tanta ammirazione.

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  2. 'hai detto: la vita di strada è come se fosse un giorno da leoni. E' vista in questo modo! La vita di strada è sicuramente eccitante, effettivamente interessante. Colpisce perchè stravolge totalmente molte conferme e paradigmi della società industriale nella quale viviamo (la concezione del tempo, delle regole, talvolta delle gerarchie). E, vivendoci, sappiamo benissimo quali distorsioni ci rendono pecore distoglierci da comportamenti o credenze più "genuine". Ma è questo il punto!
    I ragazzi di strada, nelle loro storie che sono tutte differenti, hanno in comune questa protesta maturata in loro a causa di tante, troppe paure, paure che hanno coinvolto la natura stessa della loro vita, e che quindi li hanno obbligati a gettarsi in un'improvvisata alternativa. E l'alternativa la trovano in quello che hai detto tu, cioè il desiderio di vivere un giorno da leoni, lontani da ciò che può impedire una vita "libera".
    Il problema,Meo, è che quando la strada ti invade, capisci che quello non è un giorno da leoni, ma mezza giornata da cane randagio. E mi dispiace dover mettere in mezzo gli animali per trovare un'immagine adatta a mostrare la gravità del problema. Loro vivono un giorno da uomini che vivono nella miseria totale, da nullatenenti. E questa nullatenenza implica l'essere schiavo degli altri, di quelli che sono altri ma che vivono comunque con loro nelle dinamiche di uno stato in transizione economica, catapultato senza se né ma da est a ovest, nella società che ti impone l'avere i soldi altrimenti schiatti, o un posto dove ripararti dal freddo altrimenti...
    Quello che voglio dire è che il momento di rottura con la società ha bisogno della società stessa per continuare ad esserci. I ragazzi sanno benissimo che vivono nella miseria. Si rendono conto che vivere in un canale è uno schifo. Alcuni esplicitamente rifiutano di avvicinarsi. Vivono cercando di fatto di rimanere isolati, ma dipendono totalmente dalla città in cui vivono. E io credo che il problema che tu hai posto non dovrebbe essere quello di "riportarli sulla strada giusta" (che sicuramente giusto non è), ma quello di renderli autonomi e responsabili nel senso di non essere dipendenti fino al punto di mettere in pericolo la loro stessa vita. Penso che questo sia doveroso, da parte nostra. Penso che sia questa l'obiettivo di molti che lavorano nel settore. Cercare di reinserirli nella società da cui loro stessi sono scappati sarebbe pericolosissimo. Su questo credo che bisgnerebbe agire cambiando la società che dovrebbe ri-accoglierli.

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