martedì 2 agosto 2011

Disuguaglianze sociali all'interno del canale

Non è vero che i ragazzi di strada sono uguali. Non è vero che sono tutti miseramente sfortunati, né tutti nelle stesse condizioni di vita. "Ragazzo di strada" è quel ragazzo che viene eguagliato alle peggiori conseguenze che uno spazio, la strada, potrebbe imporre su una persona. In realtà la strada non impone proprio nulla, non crea un'identità. E' il ragazzo che assume in sé una serie di caratteristiche fisiche e psicologiche necessarie a combattere la strada vivendo dentro la strada. Dentro in tutti i sensi.
Tuttavia ogni ragazzo conserva non solo la propria individualità, ma anche una serie di status e privilegi che possono differenziarlo dai compagni di canale.
A Dristor i bambini dormono un letto rialzato da terra, pulito e ordinato, mentre ogni altro componente del gruppo dorme sulla propria stuoia a diretto contatto con i tubi sudici e i rifiuti del terreno. Certi ragazzi vengono quotidianamente nutriti, curati. Il leader del gruppo è il compagno della loro madre. Il leader del gruppo si preoccupa di nutrirli, di difenderli. Il leader chiede in cambio lealtà e servigi. I bambini non si drogano con le smart drugs, tutti gli altri componenti del gruppo invece sì. Essi hanno gravissimi problemi psichici e fisici. C'è invece chi usa solo la colla perchè non si può permettere di comprare altro. Questi sono i ragazzi che hanno lo status inferiore, perchè la stessa droga diventa simbolo di ricchezza e di possibilità, quindi di prestigio e di autorità.
Dopo circa due settimane di osservazione all'interno del canale di Dristor cominciai ad avere maggiore confidenza con i ragazzi, conobbi le loro storie, seppi il numero di classi che avevano frequentato e le loro realtà di provenienza. Mi accorsi che il leader era molto più ricco degli altri.
Risciva ad assicurarsi quotidianamente cibo, birra e due pacchetti di sigarette. Era sempre pulito, con abiti decenti e lavati, e riusciva a mantenere il suo canale il più bello e pulito di Bucarest. La sua ricchezza e i suoi continui introiti derivano da piccoli investimenti ed intromissioni in mercati clandestini. Nonostante l'illegalità, il suo è un continuo arricchimento, che significa continua differenziazione rispetto ai membri del suo canale. Egli aveva quindi individuato una netta distinzione tra i "boschetari-aurolaci" e "quelli come lui", distruggendo quell'etichetta di essere "di strada", realizzando ciò che essa non prevede: l'uscita dalla miseria. Si servì quindi dell'ingegno della differenziazione sociale, che diventa cosa per furbi nel momento in cui differenziarsi serve per mangiare. E' come se le differenze sociali all'interno di questi gruppi apparentemente di uguali fossero la base per la sopravvivenza dei gruppi stessi, cioè dell'equilibrio tra i ruoli di una rete sociale. Quindi è falso dire che i gruppi di strada sono spontanei, anarchici, gruppi di eguali. Non esiste uguaglianza senza regole, e prima delle regole vengono differenti status di prestigio, ricchezza e autorità. Poi vengono le norme sociali, che non distruggono i conflitti ma li fossilizzano rendendoli sempre potenzialmente attivi, quindi potenziali minacce all'ordine che si mantiene proprio in questo modo.

giovedì 17 marzo 2011

Post di riparazione

Volevo solo scrivere che non ho più potuto scrivere sul blog per problemi di tempo, e anche di connessione internet. Diciamo che chi non paga non può usufruire dei servizi no? Quindi non avendo pagato mi tocca usare solamente internet del fidato Borja ( di cui comunque annuncio l'arrivo trionfale a Gorizia il 28 marzo! Chi lo vuole come compagno notturno, e quindi offrirgli un letto caldo e del buon vino è pregato di farsi avanti).

Voglio tornare presto a raccontarvi. Soprattutto perchè l'orizzonte della mia ricerca è ora così grande e complicato, quidni anche limitato, che ho voglia e bisogno di condividere presto molti aspetti.

A presto ragazzi

mercoledì 23 febbraio 2011

Il canale di Dristor

(riporto le note di campo scritte il 16 febbraio 2011 al Canale di Dristor)
Decido di andare da solo al canale di Dristor. Alle 15.30 circa sono di fronte all'apertura del tombino, e mi metto a gridare “Iulian, Iulian, sunt Lorenzo!”. Iulian è il compagno della madre dei fratelli Dristor. Sono in nove in quella famiglia: la madre, di circa 35 anni, Iulian, il compagno, e tre figli (Alex, 20-25 anni; Fratello 2, 15-17 anni; Richi, 10-12 anni) e quattro figlie (Sorella 1, la più vecchia; Floara, 17 anni; Cristina, 16 anni; Karina, 14 anni). In più con loro c'è la piccola Alexandra (Pepita, 2 anni) che è la figlia di Alex. Alla famiglia si devono aggiungere altre dieci persone circa, che dormono con loro.
Iulian è il più vecchio del gruppo, la persona con cui avevo parlato la settimana scorsa. Iulian sale all’aria aperta, mi dà la mano e poi mi dice di scendere nel canale. Allora scendo. L’entrata è difficile, molto stretta, e soprattutto il primo passo è il più difficile perché è il più alto. L’asfalto del terreno mi arriva al naso, non avevo mai visto la strada dal punto di vista di una formica. E’ molto grande, penso prima di vedere solamente un cerchio di cielo. Mi calo giù per la scala facendo attenzione. Il canale si apre, in uno spazio scuro, un cunicolo ad arcata, con due enormi tubi al centro. Subito sento la puzza, ma non è tanta e soprattutto è vivibile. Non fa troppo caldo, rimango con la giacca, benché senta che si sta bene. Le persone che ci abitano dentro sono tutte senza giubbotto. Iulian è in maniche e pantaloncini corti. Mi meraviglio della grandezza del canale, ma soprattutto del fatto che i ragazzi dormono anche sopra i tubi. Il canale assolve tutte le loro funzioni, dal bagno, alla discarica, al posto per dormire e per stare al caldo, al posto per mangiare. Arrivo giù e Iulian si posiziona sopra uno dei due grandi tubi (2 metri di diametro), seduto su una piccola piattaforma di cemento sopraelevata. Si mette seduto e continua il suo lavoro: sta tagliando qualcosa. Poi intravedo, nella parziale oscurità (è molto buio ma intravedo le facce delle persone grazie a tre candele appoggiate al muro), anche Mamma Dristor, una signora di circa 35 anni, che mette a posto i letti, le coperte sopra le reti appoggiate alle pareti del canale. Sopra uno di questi letti c’è George, che avevo già visto in Villa, e che avevo conosciuto il primo giorno in cui ero uscito con i ragazzi del gruppo Bucur. George mi racconta che è scappato dall’ospedale. Dopo due settimane non ce la faceva più dalla noia e ha deciso di scappare dall’ospedale, fregando così medico e custode. E’ tornato in canale, dove fa più caldo, ed è così meglio per lui, ed inoltre lì c’è anche Floara, con cui ha avuto un bambino (Iulian Florin) che ora sta in una famiglia. Mi dice che vorrebbe andarlo a trovare con Floara, sabato. Ma George sta male, lo vedo che fatica a respirare e che si ferma spesso per fare delle pause. Parliamo per un bel po’, prima che Iulian intervenisse dicendomi di stare rilassato (aveva visto che stavo seduto con la schiena in posizione eretta, ma in realtà io ero abbastanza rilassato), e chiedendo a George di chiedermi se potevo comprare per loro qualcosa da mangiare tutti assieme. Per me si può fare, anche perché penso che sono in una casa altrui, quindi chiedo a George di accompagnarmi al supermercato lì vicino.
Torniamo con delle salsicce, del pane e un succo di frutta. Metto le salsicce dove mi dice Iulian, al fresco sotto l’apertura del canale, e poi do il pane e il succo a lui, che le mette da parte, dietro il grande tubo. Mi siedo sulle coperte accanto a George, e continuiamo parlando di Parada. Lui mi dice di non dire niente riguardo al fatto che è scappato dall’ospedale, che tanto lo verranno a sapere dai medici. Io gli dico che non dirò niente. Mentre io e George parliamo Alex dorme, Iulian continua a lavorare sul suo “trono”, e la mamma si siede vicino a noi. Non fa nulla di particolare, ma è solamente attenta ad ascoltarci, certe volte fa delle domande a George su di me. Per esempio sul perché sono a Bucarest, che cosa sto studiando. Mi chiede se i miei genitori riescono a mantenermi. Mi chiede anche da che posto in Italia vengo e quando riparto per l’Italia. Intanto Iulian sta continuando a lavorare, tagliando qualcosa, che non riesco a vedere, e pestando con vari arnesi, ma è troppo in alto, benché sia di fronte a me. I discorsi fra me, George, e la madre si compongo di brevi domande e tanti momenti di silenzio, in cui George si piega in avanti, esausto, e la madre accende qualche candela da mettere sul muro o parla con Iulian.
Siamo quindi in sette: Iulian, la madre, George, io, Alex (che dorme sul tubo), lo zingaro (che se ne sta in disparte), e l’altro dei fratelli. Entra d’improvviso Alin George, che quando mi vede sorride e mi dà la mano. Alin si siede direttamente accanto a me, senza parlare con gli altri, e senza che gli altri gli parlino. Mi racconta che è stato nel bloc questa notte, e che è stato da solo. Io non so se credergli, perché mi aveva più volte negato che dormiva nel canale. Mi dice che non gli piace qui, che non vuole dormirci, e che se ne andrà presto (dopo un’ora se ne sarebbe andato). La situazione diventa abbastanza monotona, sembrava che si fossero appena svegliati e che avessero iniziato ora la giornata. Passano i minuti e arrivano le prime persone da fuori. Sono in tutto cinque, arrivate nel giro di mezz’ora non tutte insieme. Non so chi siano, e, a parte uno che avevo visto due/tre volte a Parada, non le ho mai viste. Hanno due particolarità: sono tutti sulla trentina, maschi, e sono in generale abbastanza puliti, con vestiti e scarpe abbastanza decenti. Di solito il colore di fondo dei ragazzi di strada è il grigio, grigio verde, di chi vive nella polvere. Appena entrano, mettono sul tavolo di Iulian qualcosa, non riesco a vedere che cosa. Ma nel giro di un’ora avrebbero tirato fuori soldi per circa quattro volte. Ognuna di queste persone, appena entrata, guarda George e, con faccia stupita ma con tono severo, gli chiedono perché fosse scappato. Poi guardano me. Indifferenza totale a parte il ragazzo con la pila, quello che già avevo visto. Mi punta la pila in faccia e, girandosi verso Iulian, gli dice in traduzione: “E questo che cazzo ci fa qui?”. Iulian gli spiega che sono uno studente e che voglio passare del tempo con loro, ma glielo spiega in maniera molto sbrigativa, e con un sorriso sulle labbra che non mi mette molto in tranquillità. E mi viene quindi da pensare al perché mi abbiano accettato lì dentro: il pane, il cibo. Allora capisco e mi tranquillizzo. E’ importante che ci sia una ragione per la quale io stia lì, perché questo vuol dire che se non vado loro hanno meno cibo, quindi stanno peggio. In realtà il giro di soldi ce l’hanno, ma spero che l’equilibrio regga, e che Iulian non debba mettere in discussione la mia permanenza con loro. Infatti il ragazzo che mi ha puntato una pila dopo non ha più detto niente. Anzi, poco dopo, io gli chiedo informazioni sugli autobus che passano da Dristor, e lui mi risponde senza indugi.
Dopo circa mezz’ora arrivano i ragazzi da Parada (sono quindi circa le 17). Richi, Karina e Pepita scendono in canale. Richi appena mi vede si ferma immobile a guardarmi. Poi va avanti senza spiaccicarmi parola chiedendo alla madre con chi fossi venuto. Alla risposta che ero venuto da solo mi guarda ancora, poi, dopo un po’, mi chiede soldi. La madre gli risponde che avevo già portato il cibo. Allora lui si avvicina a me, mi dà la mano e si gira verso gli altri. Diversamente si comporta Karina, che comunque è quella incaricata di badare a Pepita. Karina mi guarda e non mi parlerà più per una buona mezz’ora, quando solamente la situazione diventerà  divertente è tutti rideremo delle parolacce che usciranno dalla bocca della piccola Pepita. La bambina è un terremoto. Karina, e Richi devono starle dietro per tutto il canale, mentre il suo vero padre dorme (un ragazzo di 25 anni). Pepita chiama “mamma” quella che è in verità sua nonna. La bambina è un terremoto, non sta ferma un attimo. Sua nonna la prende ad un certo punto e comincia a pettinarla, ma la pettina così forte, così forte che la bambina comincia a piangere, senza fermarsi per un bel po’. Credo dovesse farle molto male. Il padre, Alex, non sta mai con la bambina. Una volta sola l’ho visto che le dava da mangiare. Mi faceva tenerezza vedere un ragazzo di 20 anni padre di una bimba di 2. La situazione non si modifica più di tanto, a parte qualche parolaccia in italiano di Richi, che sembra molto vispo quel pomeriggio. Quindi ad una certa ora decido di partire dal canale. L’uscita di scena è molto veloce. Ma l’uscita dal canale, oltre ad una sorta di liberazione, mi proietta in un mondo enorme, un mondo in cui però mi sento sicuro. Sicuro perché mi sento di conoscerlo. Mi sento vivo.

Uscita la testa dal tombino, un'improvviso soffio di vento fresco la avvolge.

mercoledì 16 febbraio 2011

Con il passo dei "balordi"

E' difficile seguire i ragazzi di Bucarest. E' difficile passare del tempo con loro, quando sono in strada (cioè sempre). E' difficile perchè hanno un'altra concezione del tempo.
Io sto cercando di fare un'osservazione partecipante sui ragazzi di strada. Vado a cercarli in strada e, se li trovo, mi fermo con loro per qualche ora, scrivendo, quando torno a casa, ciò che vedo e sento. E questo non è solo per la mia tesi, ma perchè potrò, in questo modo, portarmi Bucarest in Italia in un modo che è estremamente accurato, per non perdere nessun tipo di particolare.
Ma i ragazzi di strada non hanno la nostra concezione del tempo. E' difficilissimo seguirli, e non solo perchè si fanno chilometri e chilometri ogni giorno, ma anche perchè hanno orari diversi. Talvolta non ne hanno neppure.
Semplicemente si potrebbe dire che il loro "tempo" si regge sulla soddisfazione dei bisogni elementari: mangiare (principalmente) e la lotta contro il freddo. Il dormire non è un bisogno elementare perchè si può anche dormire di giorno no? I ragazzi che passano la maggiorparte della loro giornata in strada hanno perciò un piccolo cosmo proprio. Per i ragazzi che dormono nei canali, c'è invece una regolarità dovuta al fatto che quando in strada arriva il gelo notturno, sono costretti a tornare al caldo del tombino.
Quando vado a cercare i ragazzi devo aspettarmi sempre di tutto: posso trovarli inaspettatamente, oppure posso sprecare la mia giornata a cercarli senza concludere nulla. E' difficile, stancante, ma non demotivante. La fatica, che sento quando alle 9 di sera sto per crollare sul letto, mi ha fatto pensare a quest'altro programma di vita, che si scontra violentemente contro il nostro. E crea disagi.
Io non posso progettare la mia giornata, proprio perchè i ragazzi di strada non hanno progettualità. Vivono su ciò che è per loro quotidiano: i loro bisogni, le loro esigenze (ovviamente non solo dormire e mangiare). Mancanza di progettualità. Nei gruppi di ragazzi di strada c'è una forte mancanza di progettualità, che non significa non sapersi organizzare. Non significa mancanza di praticità. Significa rigettare ciò che è programmato, ciò che è stabilito dall'esterno.
L'appuntamento.
Sabato scorso uno dei ragazzi doveva incontrarsi con me alla fermata della metro per andare insieme al canale. Alle 15 a Tineretului. Dopo un'ora di attesa me ne sono andato. L'ho rivisto ieri, e mi ha risposto dicendomi che era lui che mi aveva aspettato per un'ora alla fermata della metro. In realtà credo che, conoscendo la sua storia, fosse rimasto preda di una delle ragazze del gruppo.
Il cambio di "programma".
Mi capita quotidianamente sentire cambi di idee, proposte rimangiate, programmi alternativi. E questo per due motivi. O perchè cercano di depistarmi o perchè effettivamente non hanno un programma. I ragazzini più piccoli hanno bisogno dei più grandi. Quando sto solo con loro, molto spesso cercano di mandarmi via con molti giri di parole e cambi di programma. Credo perchè si sentano insicuri, se soli con uno straniero e senza il resto del gruppo. Non perchè hanno paura di me. Questo è impossibile. Ma perchè hanno paura di ciò che il gurppo può pensare nel momento in cui loro sono i responsabili della mia entrata nel gruppo. Questa paura è estremamente comune ai bambini di strada.
La scuola e le istituzioni.
La scuola, e tutte le istituzioni con cui hanno contatti non potranno per loro rappresentare un aiuto per il futuro. E' molto difficile che si costruiscano un percorso. Scegliere la scuola, che dovrebbe durare un tot di anni, andare all'ospedale su appuntamento, incontrarsi con gli operatori sociali, sono azioni che implicano regolarità che loro non hanno. Per questo anche i loro propositi o sogni del futuro sono molto spesso soltanto sogni irrealizzabili. E loro stessi lo sanno. Lo sanno benissimo che quando dicono "voglio tornare dalla mamma", oppure "voglio andare in Italia a lavorare", oppure "credo che torverò un lavoro a breve", che saranno molto probabilemente parole senza seguito. C'è forte mancanza di progettualità quando si parla del loro futuro. Alina, dello staff di Parada, mi ha detto che è molto difficile costruire un percorso di assistenza sociale con loro. Gli interventi dell'associazioni sono spesso vanificati dalla scelta di rimanere in strada, e mandare all'aria ogni progetto per loro iniziato. La progettualità della loro vita non esiste. Non esiste in termini temporali, proprio perchè hanno un tempo parallelo, una realtà parallela, che molto spesso genera incompatibilità e contrasto con chi rappresenta un'istituzione. In primis il Centro diurno di Parada. Quante le storie di chi non può più entrare al Centro perchè ha deciso di usarlo solamente come uno strumento per mangiare e svagarsi, senza scegliere i progetti proposti. Tuttavia il Centro è importante. Scandisce il tempo ed una certa regolarità durante il giorno. Scandisce il tempo del pasto, degli allenamenti, della chiusura alle 5 del pomeriggio.
E' un piccolo orologio che tante volte si scontra con l'orologio della strada. Inesistente. Impossibile da descrivere.

E io, in mezzo a cercare di capire, torno a casa ogni sera distrutto.


sabato 5 febbraio 2011

Il primo giorno di scuola

Mi ricordo molto bene di quel 24 ottobre 2010, di quell'ora: le 21.30. Non solo perchè oggi ho riletto alcuni appunti. Quella sera uscii dal campus studentesco per andare in strada Bucur. Il mio primo giorno di scuola.
Florin mi aveva detto che si sarebbero trovati lì alle 22. Mi ricordo molto bene quella sera. In particolare la paura che avevo per quella prima volta. Ero solo ed era notte. Sapevo quanto la notte mi avrebbe fatto paura.
Volli uscire con i ragazzi del gruppo di strada Bucur. Florin mi aveva detto di venire, e questo già mi confortava perchè, in un certo senso, avevo una specie di autorizzazione ad entrare nella loro compagnia. Mi sono fidato di Florin, pensavo fosse una persona influente nel gruppo, a causa del suo caratteraccio. Ma avevo lo stesso tanta paura. Il cuore faceva rumore, e non i passi che mi portavano verso il luogo dell'incontro.
Voglio scrivere di questo primo giorno di esperienze in strada perchè penso che le mie paure siano molto importanti per comprendere il fenomeno. Credo che quella paura possa essere una testimonianza preziosissima per comprendere il blog intero, e le mie esperienze di ricerca. Risulterà più chiaro per me capire perchè ho cambiato/mantenuto alcune concezioni/pregiudizi/idee sui ragazzi di strada, e sulla subalternità in generale.

Il mio cuore batteva per la paura di essere aggredito. Pensavo di finire sotto un ponte, di addormentarmi con loro, e di venire derubato, oppure picchiato. Per questo non mi ero portato soldi. Solamente la carta d'identità, che sarebbe forse servita per un eventuale incontro con la polizia. Mi ricordo che mi ero messo vestiti già sporchi, una calzamaglia e due maglioni per il freddo. Pensavo di dover rimanere a dormire. Che non mi avrebbero lasciato andare.
Arrivai all'incrocio di strada Bucur, e i ragazzi erano già tutti lì. Imbarazzo pazzesco, la mia entrata in scena sarebbe diventata troppo plateale, non mi andava così. Alla luce verde attraversai la strada per dirigermi esclusivamente verso Florin. Neppure notai le facce degli altri. Appena Florin si accorse di me sorrise e mi presentò ai suoi compagni. Grazie a Dio! La paura cominciava ad essere piano piano sconfitta quando ognuno dei ragazzi/bambini mi dava la mano, e mi diceva il nome. Tuttavia mi sentii quasi sicuro soltanto quando il più vecchio di loro, mi diede la mano e cominciò a dirmi qualche parola in italiano.
Ci muovemmo quindi dalla strada ai bloc. Faceva già molto freddo, e il gruppo si spostò nell'atrio di uno dei grandi ed orribili bloc (i palazzi squadrati che compongono quasi la totalità di Bucarest). Parlavo sempre con il più vecchio, persi di vista Florin, che era stato l'artefice di questa mia prima uscita. Me ne accorsi e cercai di stare assieme a questi due personaggi, mi sarei sentito più sicuro.
C'erano altri 7 ragazzi, i più piccoli avevano 12 e 14 anni. Il resto aveva un'età che variava dai 16 ai 25 anni.
Non è facile introdursi in un gruppo. Difficile per chiunque, non solo per i timidi. ed io lì ero chiaramente diverso. Più alto, tra i più vecchi, straniero, senza la colla, giubbotto pulito. Possedevo una diversità che mi dava fastidio. Decisi così di restarmene zitto ed osservare. Mi misi per terra, nell'atrio del bloc, senza parlare. Le loro ombre si muovevano di fronte a me. Le loro immagini fluttuanti nel buio di un orribile pianerottolo, illuminato dalle luci soffuse della strada, mi sarebbero rimaste impresse per tutta la notte, che non passai con loro, ma nel mio letto a Grozavesti.
E mi ricordo che quell'immagine da retroscena mi motivò tantissimo. Le loro ombre, il rumore di chi accartoccia un sacchetto di plastica, quei sacchetti di colla, quell'odore così intenso di acidi da vernice, quei cani che si accasciavano su di loro come compagni di vita, quegli occhi da retroscena mi hanno, tutti insieme, mi hanno motivato tantissimo a rimanere lì. E mi hanno fatto comprendere tutti i pregiudizi che avevo espresso con le mie paure. Che in realtà costituivano la mia concezione del mondo subalterno, di quel mondo povero e nascosto ai nostri occhi, che in realtà non era proprio così.
Non ho visto violenza, ma aiuto reciproco tra di loro. Non ho visto così tanti egoismi, ma molto spesso condivisione di necessità (i turni davanti al calorifero, la condivisione della droga, la condivisione del silenzio). Non mi hanno chiesto soldi ( questo perchè i negozi erano chiusi a quell'ora?). Non ho dovuto difendermi in nessun modo. Non mi sono sentito escluso, né completamente ignorato. Non mi hanno scacciato. Era come se fossero abitutati alla presenza di esterni. Hanno, un pò tutti, cominciato a chiamarmi per nome. Si ricordavano il mio nome.

Questo cosa vuol dire?
Questo che significa?

Non lo so ancora, non sono conclusioni scientifiche, ma mi aiutano molto a capire che cosa osservo ora.

Le paure di quel primo giorno di scuola mi avrebbero fatto capire tante cose sui ragazzi di strada.
Tornai a casa, felice di tornarvi diversamente. Erano circa le 23.30

lunedì 31 gennaio 2011

Denti, mani e pelle

La strada è un luogo, una casa per molte persone, qui a Bucarest. Colpisce certamente la realtà romena perchè molte, moltissime di queste persone sono ragazzi, se non addirittura bambini. La strada è un ambiente, e come tale modifica chiaramente coloro che ci abitano.
Nell'intervento precedente ho scritto che non esistono i "ragazzi di strada" perchè esistono dei ragazzi che entrano, vivono, e, talvolta escono. Dalla strada. E allora continuiamo a tenerli separati. Sforziamoci di pensare che tutti i ragazzi, anche quelli che sono nati in strada, abbiano fatto una specie di patto/contratto con questo ambiente. Che abbiano scelto di farsi condizionare dalla strada, fino anche ad essere dipendenti da essa. Sono, tuttavia, consapevoli che, in questo contratto, è prevista la clausola della non assimilizione. Possono uscirne, possono scegliere. Mi piace pensarla così. E vediamo se i due contraenti si sono impegnati nel rispetto delle clausole, soprattutto in quella della non assimilazione.Vediamo, in particolare, come le esperienze in di questa vita possano modificare l'aspetto fisico delle persone. Come questi ragazzi possano restare per molto tempo condizionati dalle esperienze che hanno vissuto.
Soltanto la settimana scorsa ho seriamente scritto qualcosa sulle facce e sui corpi dei ragazzi che passano il loro tempo al Centro diurno di Parada. Scriverò solamente delle tre parti del corpo che vedo modificarsi più velocemente e più visivamente. Non scriverò di altro, perchè quando la strada è cattiva vi sono parti del corpo che non si possono più curare. E ora non mi va di parlarne.
Scriverò di denti, di pelle e di mani.
Credo che la vita di strada voglia dire principalmente avventura. Parlo di avventure forti, eccitanti, molto spesso pericolosissime. Avventure che ogni ragazzo si ricorda molto bene, rimangono impresse con un inchiostro indelebile. Perchè hanno causato dolore, oppure tanta felicità. Quando chiedo ai ragazzi quale esperienza si ricordano di più nella loro vita di strada, mi sento rispondere che sono i grandi gruppi di amici con i quali condividi e lotti per sopravvivere. Compagni di vita, più che amici. Compagni di aiuti. E allora mi viene in mente, pensando al fisico e ai tartti comuni di molti dei ragazzi, che la colla è, sia un fattore che modifica il loro fisico (parlo di fisico riferendomi solamente ai tratti esteriori), che un momento sociale, una specie di condivisione di qualcosa. Un rito che serve a loro per unirsi nella lotta contro...
La colla, assieme alle sigarette e alla cattiva nutrizione, ci fa notare i denti. Malati, pieni di carie, storti, rotti. Sono i denti, estremamente fragili, i primi ad essere colpiti dalle sostanze nocive inalate ed ingurgitate. Con i denti rotti dai gas acidi della colla si mangia lentamente. I ragazzi non hanno fretta nel mangiare, non si avventano. Mangiano lentamente, e soprattutto rispettano i tempi di ognuno, se sono in gruppo. Non dico che si aspettano l'un l'altro, ma cercano al massimo di condividere il cibo. Soprattutto questo: i più grandi, i responsabili mangiano per ultimi. E questo l'ho notato molte volte, quando sono stato con loro in strada. Al Centro no. Al Centro sono tutti uguali rispetto all'associazione che impone loro un programma e un menu unico.
I denti si manifestano quando sorridono, e sorridono molto! Questo mi fa pensare alla loro "normalità". A quanto siano estremamente "normali" rispetto ai nostri canoni di normalità determinati principalmente da una condizione: non essere drogati. Ecco, quando non assumono colla hanno una capacità straordinaria di adattarsi all'ambiente. I ragazzi che ho conosciuto hanno un carattere estremamente sveglio. Alcuni sono estremamente determinati e vogliono ciò che non hanno potuto avere di più prezioso: la scuola.
Poi le mani, rovinate o avvalorate da esperienze quotidiane in quelle strade. Mani di chi sa usarle. Mani di chi cerca e di chi quotidinamente le usa per infilarsi in ogni dove a cercare un qualcosa da consumare, usare come possibilità per proseguire. E non parlo solamente di cestini, rifiuti, o di soldi. Parlo di lavoro, di praticità, di abilità. Parlo dell'arte di arrangiarsi con poco, con gli strumenti da lavoro. Che possono essere cacciaviti o pale per aprire i tombini per buttarci dentro la neve davanti al cancello del Centro diurno. Che possono essere clavette, palline, nasi rossi, giochi di magia. Il circo non poteva nascere in un posto più adatto. E si vede. I ragazzi di Bucarest hanno un'abilità, che secondo me non deriva dalle ore di pratica al centro diurno fin da bambini. C'è qualcosa di più. Le mani. Le mani che permettono, le mani che non hanno avuto paura di niente, neppure delle penne che proprio ora devono imparare ad usare. Mani rovinate, tagliate, cicatrizzate. Unghie sporche, rovinate, ma alcune eleganti, alcune che colpiscono. Mani che ti danno la mano anche se non ti conoscono. Mani che ti salutano, tu, straniero. Mani che ti rispettano perchè non sei a casa tua, sei uno straniero. Mani che danno l'inizio di un rapporto che può durare una settimana un emse o più. Mani, che sono le prime a soffrire. Mani malate, inibite dal più grave dei mali per questi ragazzi romeni: il freddo quasi polare. I meno dieci/quindici della notte si riflettono ghiacciate sulle mani. Per stringerle devi fare piano, altrimenti urlano dal dolore. E' questo che non riesco a concepire. Il freddo. Il freddo che non vuol dire solo povertà. Perchè i vestiti ce li hanno, seppur vecchi e rotti. Il freddo non è solo la fame. No, non è questo. Il freddo è proprio di chi non ha casa. E' questo il problema di questo stato. Non risce a combattere il freddo. E' come potrebbe farlo?
Infine la pelle. Dura, rigida, tagliata. la pelle mette insieme tutto. Ma soprattutto mi fa pensare che chi ha la scorza della vita, chi ha i calli sulle dita, e vuole/decide di scalare la scala sociale, potrebbe potenzialmente essere un piccolo eroe. Per tutti un grande esempio. Quindi vedo il futuro in questa pelle.

Sperando di vedere ancora, sperando di associare ancora i  miei pensieri al loro fisico.

domenica 30 gennaio 2011

Partiamo dai pensieri semplici

Sono sempre più convinto che i ragazzi di strada non esistano, ma esistano i ragazzi, e la strada. E' difficile non generalizzare quando li osserviamo. E' difficile pensare, quando vediamo un bimbo mendicare alla stazione della metro di Piata Unirii, che in realtà anche lui abbia un nome, o una storia alle sue spalle. Ieri sera ho visto due bimbi nella metro di Piata Unirii. Due bimbi che avranno avuto sei anni. Uno dei due rideva. Perchè rideva?
Il problema, se si può chiamare così, è che, prima di quel bambino, nelle nostri menti compare l'immagine del senzatetto, del povero, della strada stessa, della strada come se quella di Bucarest fosse la stessa di quella di Udine. Arriviamo subito a pensare, con le nostre menti complicate, direttamente al sistema senza aver l'interesse ad approfondire le singole storie. In qualche milesimo di secondo arriviamo a ragionare sulle difficoltà economiche che il governo della Romania non è riuscito a superare e al paradosso dell'entrata in Romania nell'Unione europea e al perchè l'Unione europea non attua controlli su questo territorio e al sistema corrotto e alla crisi politica e morale di queste ultime generazioni di amministratori nonchè alla vecchia mentalità comunista che esiste ancora e al fatto che in Italia ci sono i barboni e non i bambini e quindi dovremmo stare in una situazione un poco migliore e alla crisi morale all'indicenza di vedere queste immagini in Europa all'inizio del XXI secolo e e e e e e.... eh basta! STOP!!!
In noi si avvia quella terribile operazione di massimo comune denominatore che non ci permette di arrivare alle singole storie, ai problemi che ogni ragazzo ha affrontato e affronta. Non arriviamo alle cose semplici.
Chi gli ha dato quei vestiti? Dove ha torvato i soldi per quel panino? Sembra che non abbia una mano ma è veramente così? Dove la tiene nascosta? Chissà dove dorme, con chi dorme. Chissà come si chiama, e chi gli ha dato questo nome?
Vorrei imparare a ragionare anche in questo modo. Credo che la consocenza delle piccole cose ci renda poi più capaci di comprendere il perchè delle medie, delle grandi (talvolta). Se questo è il nostro scopo.
Un operatore di strada lavora in questo modo. Cerca di risolvere i piccoli bisogni quotidiani. Facendo questo entra, anche involontariamente, in una rete sociale complicatissima, che mette in relazione i beneficiari del servizio (i ragazzi), con il loro gruppo, con le famiglie, con i clan. Partendo dalla soddifazione di bisogni semplici e concreti si può arrivare a capire, per esempio, perchè c'è bisogno dell'operatore sociale per avere/non avere quella determinata cosa. Può anche essere che un ragazzo vada in strada perchè le mura della sua casa siano in realtà le mura di una sola stanza, in cui ci vivono in otto. Un ragazzo può scegliere la strada perchè non ha un parco giochi in cui divertirsi, perchè ritrova nel gruppo di coetanei la sicurezza che due genitori non gli hanno dato.
Tante sono le storie, tanti i piccoli problemi, le piccole richieste, le piccole soddisfazioni.
Credo che sia un grande arrichimento personale cercare di dare spiegazioni razionali prima ai singoli, più semplici, più nascosti problemi relativi alle singole, più semplici, più nascoste persone che possono vivere nella realtà multiforme delle strade, delle nostre piccole e grandi strade.
Si tenta, insomma.

martedì 25 gennaio 2011

L'ipocrisia della chiusura degli orfanotrofi

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Romania/Romania-l-ipocrisia-della-chiusura-degli-orfanotrofi

Dopo un mese di pausa torno a scrivere. Mi pare urgente proporvi questo articolo recentissimo, scritto da padre Filippo Aliani, dei Frati minori Capuccini, molto attivo qui in Romania. Il tema è centrale, anche per quello che ho personalmente riscontrato parlando con i responsabili del Centro diurno di Parada.
Il problema è questa ipocrisia, questa necessità di risolvere formalmente i problemi, lasciandosi dietro vite umane. Il problema è la velocità del voler fare, che tenta tutti, dai governi ai responsabili di progetti di cooperazione. In particolare mi riferisco alle scadenze obbligatorie che il Governo di Romania ha dovuto rispettare per entrare in Unione Europea nel 2007.
Molti ragazze e ragazze dagli orfanotrofi tornano/vanno in strada, espondendosi a pericoli inimmaginabili. Ho conosciuto molti ragazzi che hanno scelto di TORNARE IN STRADA. Chi da un orfanotrofio, chi da un posto di lavoro che, seppur precario o in nero, ha permesso loro una piccola formazione culturale, chi dopo la "reintegrazione in famiglia".
Conosco una ragazza che ha voluto PROVARE LA STRADA. Perchè è stata tentata da questa apparente libertà, da quest'eccitazione, che esiste veramente. E' vera, esiste. Ovviamente le conseguenze per chi entra in strada, senza aver già la pelle con i calli di esperienze estreme, sono devastanti. E se non c'è un controllo da parte degli operatori sociali, le situazioni diventano critiche, per non dire di peggio.

Quindi buona lettura